Di un giullare e di uno specchio

Grigio, come sempre del resto. Anche quando la bella stagione doveva farla da padrone e le notti si sarebbero dovute riempire di stelle, li a Londra il cielo era grigio. Era tornata li dopo aver trascorso un periodo di tempo a Palermo. Come le era sembrata diversa quella città, anche se non le apparteneva e aveva appena sollevato il velo che la riempiva di misteri. Londra le offriva ancora tante storie da raccontare e da vivere, prima di diventare un mucchietto di cenere (sperava che qualcuno ne facesse una clessidra, così dissonante ma perfettamente chiara.) Vagava per le strade del centro, come faceva sempre dopo la caccia, la malkavian aveva capito come comportarsi per non dare troppo nell'occhio, specialmente nelle serate in cui suonava nel locale irlandese infondo al vicolo. Un bicchiere di vino, una sigaretta, dell'assenzio e la cena era servita. Semplice, fatale, distorta, ruvida. Sola Aveva smesso di guardare il cielo seguendo la scia degli aerei, ed il suono della voce dell'infante la accompagnava solo quando si perdeva nella Rete. Fumo e ricordi E Castalia rideva, profondamente, disperatamente, cercando risposte in specchi rotti, cercando sinestetiche emozioni . Un piccolo gruppo di farfalle nere le faceva compagnia mentre camminava, farfalle che si mescolavano alla luce dei lampioni, al fumo delle sigarette ( da cui la malkavian si teneva sempre ben distante) diventando abbaglianti lucciole viola quando vorticavano vicino agli spasmi degli amanti nascosti nei parchi. Le farfalle le portavano note di pianoforti accordati, azzurri come il fruscio del vento, caldi come la danza, profondi come la follia. Quella notte invece quegli screziati raggi di fumo le portarono qualcosa di diverso, un profumo che non sentiva da anni, qualcosa che era sopito nella memoria, riportando a galla un ballo che mostrava delle sfumature cremisi e pericolose Il ballo sensuale che aveva fatto con Jester, in una notte che appariva lontana, nebulosa , antica. Il tempo era cambiato, sospeso, turbato, mentre davanti a gli occhi di Castalia apparivano sfuggenti ombre dalle forme sfumate, tuttavia gli occhi del ravnos fluttuavano davanti a lei, come se volessero penetrare nel fondo di quell'anima che ormai non esisteva più. Come se cercasse il proprio riflesso nei frammenti di uno specchio rotto. Non si chiese il perché, non lo faceva mai, sapeva sempre le risposte, ed allungò una mano verso l'ombra da cui volarono in alto le più belle farfalle che avesse mai visto: nere con riflessi blu e ghiaccio sulle ali, vorticavano intorno alla sua testa unendosi e separandosi, esplodendo in fuochi di artificio, che avrebbero lasciato senza fiato qualasi mortale o Rosa. Ma lei non respirava più da 100 anni, eppure non riuscì a distaccare lo sguardo da quello spettacolo così morbido, caldo, graffiante. Inclinò la testa e tese in avanti una mano, in attesa ed una farfalla le si posò sul palmo, candida e fredda come la neve. Castalia la annusò, la sfiorò appena con le dita e la farfalla si dissolse in un mucchio di cenere, seguita da tutte le sue sorelle che senza un chiaro ed apparente motivo presero fuoco e caddero a terra. Un passo indietro, le braccia intorno al corpo e la testa che dondolava in avanti, così Castalia calmava la piccola Lia dalla vista del fuoco, così allontanava se stessa dalla tentazione. Le ceneri si mossero, come mischiate da una mano spettrale e da esse si sollevò uno spelacchiato pulcino con tre piume sulla testa; la sua voce, roca, scura, malata risuonò come un'onda nel petto della malkavian, come un violino che ha una corda spezzata, eppure ella non aveva mai sentito niente di più bello. Malsano, eppure invitante e avvolgente. “Premessa, magia, prestigio” sentì sussurrare dai meandri della sua mente, una voce troppo arrogante che le graffio il petto. “Sapete perchè si chiama orrida realtà questa? Perchè è dalla distruzione che nasce l'arte, la creatività, la vita. Il bruco muore per diventare farfalla, la fenice muore per risorgere. E noi...la nostra non vita nasce quando quella mortale termina... Castalia...” Quella voce...si...quella la riconosceva. Affilata, precisa, rossa. Jester Chissà da quanti chilometri arrivava quel messaggio, se era ancora in corso, o solo il riflesso di qualcosa che è accaduto tanti anni prima, così come la luce delle stelle attraversa la galassia ed arriva a noi, anche se quelle stelle sono già morte Il ravnos non faceva parte dell'Arazzo, anche se vi era ugualmente intrecciato, come gli scogli non fanno parte del mare ma lo compongono. Eppure Castalia sentiva quegli occhi cercarla, quella voce bisbigliare all'orecchio, quel viso scrutarla nel buio. Sentiva anche qualcosa di malsano, viscido, verde circondarla, prendere il suo posto. Abbassò lo sguardo è vide un orrendo topo di fogna arrampicarsi sulle sue scarpe e lo calciò via così forte, che se fosse stato un fratello, la malkavian non avrebbe visto la luna la notte successiva. Si augurò che fosse solo un topo. Quando la carcassa delle creatura, ferita ma viva, si agitò barcollando verso il buio, la visione sparì Jester, le farfalle, la fenice. Tutto era nuovamente grigio, spento, fermo, graffiato.

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