Thunderstorm 1°capitolo

Lavoro su questo progetto da tanto tempo, circa 3 anni se i miei calcoli sono esatti...
Solo ora mi sono convinta a fare uscire dal cassetto questa storia, non senza paura, non senza il timore che fino a ieri mi paralizzava dal fare leggere a tutti quello che ho scritto. Il timore di fallire, di sentirmi dire che questo prodotto non vale niente..però non posso più trattenere questa voglia che ho di portare avanti questo racconto. Magari procedendo con calma, riuscirò ad arrivare dove voglio.

Quindi, ecco a voi il primo capitolo di "Thuderstorm" la storia di Agata e Davide, una mortale e un vampiro( di lo so, un'altra storia di vampiri...) che non ha un lieto fine, non in questa storia. Siate clementi con le critiche!


Capitolo 1

Un forte vento gelido sotto si insinuava sotto le imposte, risalendo lungo le macchie di umidità dei muri come un veleno nero che si annida nei meandri più profondi; una malattia che lenta ma inesorabile avanza. “Agata...agata...” risuonò nella stanza una voce suadente ma incredibilmente malsana, come provenisse da un pozzo oscuro da cui risale un gorgoglio che a tratti ricorda una voce. “Sono qui...” continuò quella voce. La ragazza si girò sul fianco, agitata, stringendo le coperte. Un ombra sembrò staccarsi dalle altre e muoversi verso di lei. Allungò le sue dita affusolate verso il corpo inerme della ragazza, che sembrava solo una bambola in balia dell'oscurità in cui risaltavano solo due occhi gialli.Unghie affilate le sfiorarono prima le gambe, le braccia, il collo. Un respiro caldo e profondo. Un urlo agghiacciante riepì la stanza e l'intera casa.
Cosa succede Agata?!”. Trafelata spalancò la porta della stanza , una donna di mezza età, con i capelli sciolti ed una vestaglia color malva che la copriva fino alle ginocchia. “No, no, lasciami stare, va..!” fu allora che Agata si svegliò e vide che stava strattonando con forza un gatto persiano molto panciuto; la povera bestia cercava di divincolarsi ma con scarsi risultati finchè non le assesto in rapida successione uno morso ed un graffio, costringendo la padroncina a mollare la presa.
Agata! Per amor del cielo lascia stare per povero Giuliano, cosi lo terrorizzi!” sbottò Erica avanzando verso il letto della figlia. La povera bestiola impaurita le passò vicino soffiando, e sgattaiolò rapidamente fuori dalla stanza. “Mamma, io..ho fatto un brutto sogno” sospirò la ragazza incassando la testa tra le spalle. Erica le accarezzò una guancia “ Raccontami tutto!” “Mi trovavo in una sala da ballo grandissima, ricoperta da arazzi neri. Sul tavolo al centro della sala c'erano dei teschi pieni di sangue e la sala era immersa nell'oscurità tranne per la luce tremolante di due grandi ceri posti al centro del tavolo. Io avanzavo controvoglia verso il lato opposto del tavolo e vedevo una figura che a malapena riuscivo a distinguere dal resto della sala. Mi fissava e sollevava uno dei teschi e si avvicinava a me. Beveva e con le labbra ancora sporche mi baciava, stringendomi forte...” “ Non è che ti sei lasciata impressionare dal film che vi siete viste con le ragazze ieri? Come si chiamava?” “Underworld, mamma, ma lo sai che non sono cosi impressionabile! Non ho più quindici anni!” “Ma sei sempre la mia bambina”. Erica abbracciò dolcemente la figlia dandole un bacio sulla fronte “Prova a dormire un pò adesso, è stato solo un brutto sogno!”. Agata sbuffò piano, ma ricambiò l'abbraccio della madre e si rimise sotto le coperte.
Buona notte, mamma!” “Buona notte amore!”. La ragazza attese che Erica uscisse dalla stanza poi si mise a sedere sul letto. Nessuno riusciva a levarle dalla testa che ci fosse qualcosa di strano, che non fosse solo un sogno. Aveva un brutto presentimento, ma scaccio quell'orribile pensiero dalla testa e provò a rimettersi a dormire. Non ci riuscì e si maledì per aver visto quel dannato film insieme alle sue amiche.

......

Il frastuono della città e il ritmo frenetico della giornata fece presto dimenticare ad Agata la brutta nottata. Inoltre Erica le aveva anche preparato la colazione; il che aveva reso il risveglio della ragazza ancora più bello visto che la madre usciva sempre molto presto e non aveva mai il tempo di fare la colazione con la figlia. “Ti voglio bene principessa” il bigliettino con cui ora giocava Agata mentre era al telefono, con un cliente che stava ordinando un servizio catering per la festa di laurea della figlia. Agata annuiva quasi meccanicamente, lo faceva spesso a lavoro anche se nessuno si era mai lamentato del suo servizio. Giacomo Lolli, il cliente, parlava da quasi 20 minuti, come se stesse parlando con una povera ignorante. “Mia figlia ama il rosso e il viola...” due pessimi coloro accoppiati insieme “ L'organza, il pizzo...una festa da vera principessa! Per mia figlia solo il meglio!”.
Tutti volevano solo il meglio: l'abito più bello, la sala più grande, le decorazioni più ricche. A che scopo? Per nascondere dietro una finta maschera di ricchezza, una certa insofferenza verso la vita,il senso di vuoto che sembrava accompagnare ogni nostra giornata; la crisi economica, la politica che invece di agevolare i cittadini, li affossava sempre di più. Nessuno si fida più dei politici ormai, ma nonostante tutto, c'è sempre un vincitore alle elezioni; quello che meno ti aspetteresti. Ma perché la gente non diceva mai quello che pensava o si comportava coerentemente con i propri pensieri? Sarebbe stato tutto molto più semplice. Nessun segreto, nessuna recriminazione. Era davvero cosi difficile essere felici? Basterebbe un pò di chiarezza e semplicità.

Agata seguiva meccanicamente il discorso del Lolli, segnando qualche sporadico appunto su un block notes, che aveva più l'aria di un quaderno di un disegnatore che dell'agenda di una organizzatrice di eventi. Frasi da baci perugina, piccoli disegni di fiori e tramonti, abbellivano le pagine ed incorniciavano gli appuntamenti segnati su tutte le pagine. Le parole di quel quarantenne che non voleva lasciare che il tempo intaccasse le sue doti di seduttore, accompagnarono la ragazza come una ninna nanna e la mente di Agata tornò al sogno della sera prima, o forse era meglio parlare dell'ultimo di una lunga serie: era diverso tempo ormai che non riusciva a passare una notte senza che quegli occhi la seguissero e la scrutassero come a volerla leggerla nel profondo. E lei sapeva che ci sarebbero riusciti. Un brivido la percorse la schiena dalla base e le si chiuse lo stomaco: sapeva che non era un buon segno, e le succedeva sempre poco prima accadesse qualcosa di brutto; una sorta di campanello d'allarme.

 “Allora ci sentiamo domani mattina per decidere i dettagli per la sala!” disse infine Giacomo che senza neanche aspettare la risposta di Agata chiuse la conversazione. Solo il continuo ripetersi del suono del telefono riportò Agata alla realtà “S-si ma certo!” ma la ragazza si trovò a parlare da sola e si lasciò cadere pesantemente contro lo schienale della sedia. “Compleanni, compleanni, lauree, ancora compleanni...” sbuffò sonoramente la giovane mentre sfogliava la sua agenda e fece scivolare le dita sulla penultima pagina dove aveva fatto uno schizzo di quell'uomo vestito di nero che aveva sognato: anche se era solo uno schizzo a matita Agata si senti profondamente attratta da lui ed iniziò a fantasticare su chi potesse essere e se lo avrebbe mai davvero incontrato; non riusciva a ricordare se avesse mai incontrato nessuno che gli assomigliasse vagamente ne quando aveva iniziato a sognarlo.

Possibile che fosse collegato con la morte di suo padre? Forse era il suo spirito che stava cercando di mettersi in contatto con lei. Rabbrividì all'idea che suo padre non avesse trovato la pace e volesse tormentarla. Infondo non c'era bisogno: il senso di colpa la divorava ogni volta che vedeva anche di sfuggita qualcosa che riguardasse la danza; era per quello che suo padre era morto, per venire a vedere quella sua stupida esibizione. Squillò nuovamente il telefono e Agata fece un piccolo balzo dalla sedia, trattenendo per qualche momento il fiato. Guardò la cornetta lasciando squillare ancora una volta il telefono poi fece un profondo respiro e rispose “Happy time, sono Agata come posso aiutarla?”. Ci furono diversi secondo di silenzio.

Pronto?!” disse ancora la ragazza “Buongiorno signorina Agata, mi chiamo Francesco Giannotta e la chiamo a nome del signor Mantovani che vorrebbe organizzare una mostra dei suoi quadri!” “Perfetto e quanti invitati sono previsti?” “Circa cinquanta” “Preferite un buffet, una cena o un semplice aperitivo?” “ Oh il signor Mantovani non bene mai...vino” e ci furono altri secondo di silenzio in cui Agata cerco di ricordare dove avesse già sentito quella frase, che le sembrava familiare. “Possiamo proporre un aperitivo analcolico se preferite!” disse la ragazza. “Penserò io stesso alle bevande, voi predisponete un semplice rinfresco”-“Bene signor Giannotta per quando avreste intenzione di organizzare? La prossima settimana ci sono due giorni li...” “ Ce la farebbe ad organizzare il tutto per sta sera?” “Q-questa sera?! Mi lasci controllare sull'agenda” disse Agata mentre afferrava una grossa cartelletta rossa dalla parte opposta sulla scrivania e iniziò a sfogliarla febbrilmente; per quella sera non c'era un solo locale di quelle liste che fosse libero e sarebbe stato impossibile richiedere delle nuove autorizzazioni in così poco tempo. “Signor Giannotta è ancora in linea? Potrebbe lasciarmi un suo recapito? Devo fare un paio di telefonate ma troverò la location adatta per lei!” “Ci conto allora e non si preoccupi, la richiamerò io” e anche questa volta Agata si trovò a parlare con un telefono muto e un sacco di scartoffie sul tavolo.
Doveva trovare un'idea, e in fretta, perché odiava fare brutta figura con i nuovi clienti. Tamburellò sul tavolo battendosi la punta della penna sulla fronte: le serviva un locale adatto per una mostra di quadri. Che quadri erano? Saperlo le avrebbe facilitato la ricerca, ma non poteva chiederlo a Francesco perché non aveva voluto lasciarle un recapito. Chissà come avrebbe fatto a richiamarla; forse aveva dei potersi magici, una sorte di lettura del pensiero con cui magari stava controllando cosa lei stava facendo. “Che stupidaggini!” Agata scosse la testa arrossendo lievemente per quei pensieri al limite dell'assurdo. Cosi come l'aveva chiamata prima l'avrebbe richiamata dopo qualche ora: niente magia, niente paranormale. Rimaneva il problema del locale. All'improvviso le venne in mente che qualche settimana prima era andata in un locale insieme a dei colleghi e la propietaria si era resa disponibile a metterre a disposizione il proprio locale, anche con un minimo preavviso. Pensò di fare un tentativo e una piccola vocina nella sua testa le diede coraggio e la ragazza prese la cornetta digitando velocemente un numero“Teresa? Ciao sono Agata! si..della Happy Time! Ciao, oh tutto bene! Ascolta, ti chiamo per chiederti un favore, dovrei organizzare una mostra di quadri d'autore...per sta sera, si, lo so che c'è poco tempo...sarebbe per cinquanta persone.” rimase in silenzio mentre un ampio sorriso le increspò le labbra “Mi hai salvato la vita! Sei un tesoro, grazie! Si per le otto sarò li! Ok ancora grazie, ciao!”.
Q
uel locale era perfetto: la sala era abbastanza grande ed infondo c'era un piccolo palco rialzato; avrebbe potuto sistemare i quadri sulle pareti intorno ai tavoli e sistemare il tavolino con il rinfresco vicino al palchetto. Soddisfatta riprese la sua agenda e segnò con una penna rossa: Mostra di quadri, Mantovani.. Tirò un sospiro di sollievo tornando ad appoggiarsi
alla spalliera della sedia e controllò l'orologio: era quasi l'una, poco meno di sette ore per organizzare il catering e sistemare il locale; ce la poteva fare! Adorava le sfide. Mentre era persa nei suoi pensieri squillò il telefono “ Signor Giannotta che tempismo! Ho trovato il locale!” -“Non avevo dubbi signorina! Comunicherò al signor Manotovani la notizia!”- “Si trova all'inizio di via S.Giuliano, sulla destra, io sarò li dalle 19 per sistemare il locale!” - “Bene signorina Agata, a questa sera dunque!”. Agata osservò il telefono: non riusciva a smettere di sorridere e si diede lo slancio per far girare la sedia. 

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